Σάββατο 4 Ιουνίου 2016

Stiglitz: “La Gran Bretagna non lasci l’Unione ma serve una riforma dell’euro”


4/6/2016

Paolo Mastrolilli

Il Nobel: la moneta unica è stata un disastro non solo per la Grecia ma anche per Italia, Francia, Spagna e Portogallo

La Gran Bretagna «non deve lasciare l’Unione Europea, perché sarebbe un passo con conseguenze disastrose per tutti». L’euro, però, «va riformato o smantellato, perché è chiaramente un’istituzione fallita».

Sono molto netti i giudizi espressi dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che incontriamo ad una colazione ospitata dal Council on Foreign Relations. Il professore della Columbia University sta per pubblicare un libro sull’euro, e quindi interviene volentieri sui temi sollevati anche dal presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem nell’intervista con La Stampa.

Il 23 giugno la Gran Bretagna deciderà se restare nell’Unione Europea: secondo lei cosa dovrebbe scegliere? 

«Il vero problema è quello politico, non economico. Nella gestione della Ue sono stati commessi molti errori. E’ un’istituzione verticistica, che non ha fatto abbastanza per democratizzarsi, e per creare una cultura e una identità politica comune fra i suoi cittadini. Questi però sono problemi che possono essere corretti, e l’arco della storia pende verso l’integrazione».

Quindi niente Brexit? 

«Non sarebbe utile sul piano economico, e lancerebbe un segnale molto pericoloso su quello politico, soprattutto verso altri paesi che potrebbero decidere di seguire l’esempio della Gran Bretagna. Diverso sarebbe il discorso, se invece Londra facesse parte dell’euro e dovesse decidere se abbandonarlo».

In questo caso, lei sarebbe a favore dell’uscita dalla moneta unica? 

«L’euro è stato senza alcun dubbio uno sviluppo cattivo per l’Europa».

Il suo prossimo libro sarà dedicato a questo tema. Perché considera l’euro un esperimento fallito? 

«Lo dicono i dati, non io. L’economia europea certamente non è andata bene dopo la crisi del 2008, e quindi bisogna chiedersi perché. E’ stato per colpa di una malattia improvvisa, delle istituzioni, della gente che non era più intelligente come prima, delle imprese malate, della giustizia inefficiente? Quale era la differenza chiave rispetto al passato? Io credo sia l’euro che ha impedito gli aggiustamenti necessari. Tutti gli economisti lo avevano detto, avvertendo che se ci fossero state crisi serie, la moneta unica avrebbe ostacolato gli adeguamenti indispensabili per reagire. Adesso ne vediamo le prove».

Per paesi come Italia e Grecia è stato un impedimento più grave? 

«Molto grave. Per la Grecia ovviamente è stato un disastro, ma c’è un’altra considerazione da fare. Se solo un paese avesse avuto guai, la questione sarebbe stata circoscritta: ok, la Grecia non si è saputa gestire bene, e adesso paga le conseguenze. Il problema però ha toccato anche la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo, Cipro, l’Italia, la Francia. Tutti hanno avuto difficoltà, alcuni di natura imprenditoriale e altri no. Anche l’Europa del Nord. Allora devi riconoscere che è un problema sistemico».

L’euro va riformato, o smantellato? 

«Si può ancora riformare, ma la domanda è un’altra: lo sarà?».

Come andrebbe riformato? 

«Lo leggerete nel libro, ma comunque è chiaro che si deve partire dalla possibilità di fare gli aggiustamenti necessari per rispondere alle crisi».

Lei è stato molto critico anche della rigidità con cui la Germania ha imposto l’austerità a tutti gli altri paesi. Perché? 

«E’ un chiaro esempio di cosa non ha funzionato nell’euro. L’austerità era la linea sbagliata da seguire dal punto di vista economico, perché in una situazione di crisi come quella vissuta dall’Europa sarebbe servito l’esatto opposto. Bisognava stimolare l’economia, invece di soffocarla. Poi, una volta avviata la ripresa, saremmo potuti tornare a concentrarci sulla responsabilità fiscale. Dal punto di vista politico, però, l’impuntatura della Germania ha avuto effetti ancora più dannosi, perché ha impedito di trovare una soluzione europea condivisa e concordata alla crisi, dimostrando appunto le ragioni per cui il sistema, così come è disegnato ora, non funziona».

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