Τρίτη 5 Σεπτεμβρίου 2017

Moscovici: «L’Italia contenga il debito Sì al ministro delle Finanze Ue»


3/9/2017

Il commissario agli Affari monetari a Bruxelles: i temi veri? La lotta alla disoccupazione e gli investimenti

A sessant’anni, Pierre Moscovici non ha l’aspetto del politico di mezza età. Ha sempre la stessa aria di enfant prodige del socialismo francese che era un quarto di secolo fa, però velata da un tipo di stanchezza riconoscibile: quella di un uomo che ha vissuto molti anni di crisi finanziaria in prima linea. Prima ministro dell’Economia a Parigi, poi commissario europeo agli Affari monetari a Bruxelles. Oggi parla con la circospezione di uno che è stato a lungo sulla corda, ma inizia a tirare il fiato. Non abbastanza, comunque, per non ricordare all’Italia quale continui a essere il suo grande problema: un debito pubblico che salirà anche quest’anno.

Commissario, il presidente francese Emmanuel Macron parla di uno strumento di bilancio comune dell’area euro, «per vari punti di Pil». Che ne pensa?

«Dobbiamo risolvere un triplo deficit in Europa. Il primo riguarda l’efficacia: abbiamo bisogno di politiche rivolte alla crescita, che facciano crescere gli investimenti e il potenziale dell’economia. C’è anche un deficit di solidarietà, perché la ripresa arriva in modo ineguale ai diversi Paesi, le divergenze aumentano e questa è sempre una minaccia per la coesione. Il debito italiano è il doppio di quello tedesco, il surplus esterno della Germania è il doppio di quello dell’area euro, il suo tasso di disoccupazione è il più basso».

Questa non sarà una colpa tedesca, no? 

«No, certo, ma la percezione delle diseguaglianze è un fattore che rimette in questione la legittimità della moneta unica. Infine c’è un deficit democratico: si continuano a prendere decisioni opache, sulla base di regole a volte complicate. Per questo condivido l’architettura delle proposte del presidente Macron. Ne avevo parlato io stesso nel 2012 e 2013 e so che anche Pier Carlo Padoan, il vostro ministro dell’Economia, ci sta riflettendo».

Di che si tratta?

«Ci vuole un bilancio della zona euro, ci vuole un sistema di governo dell’area euro con un ministro delle Finanze, che sia insieme vicepresidente della Commissione e presidente dell’Eurogruppo. E sul bilancio, chiediamoci per cosa: la lotta alla disoccupazione, gli investimenti? Questi sono i temi».

Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze di Berlino, pensa di fare del fondo salvataggi Esm un Fondo monetario europeo. Lì si decide tutto con diritto di veto o in base al Pil, dunque il voto tedesco conta più degli altri. 

«Può essere un ottimo strumento ma va disegnato bene, perché altrimenti rischia di rafforzare la deriva tecnocratica. Non deve funzionare in base al diritto di veto di ciascun governo, va sottoposto al controllo del parlamento europeo e non deve accavallarsi sulle prerogative della Commissione Ue nella vigilanza sui bilanci. Già noi siamo percepiti come un organo tecnocratico, anche se cerchiamo di agire con spirito politico. Abbiamo introdotto il concetto di flessibilità sulla finanza pubblica, cerchiamo di esercitare il controllo con intelligenza e sottigliezza. Non abbiamo bisogno di più tecnocrazia, sarebbe un regresso».

Perché lei dice che il programma per la Grecia è uno «scandalo democratico»?

«È uno scandalo nella forma democratica, non perché le decisioni siano state scandalose. Ma decidere così il destino di un popolo, imporre nei dettagli decisioni sulle pensioni, sul mercato del lavoro... Parlo dei minimi dettagli della vita di un Paese, decisi in un organismo a porte chiuse, i cui lavori sono preparati da tecnocrati, senza il minimo controllo di un parlamento. Senza che i media sappiano veramente cosa viene detto, senza criteri fissi o una linea direttrice comune».

Matteo Renzi dice che l’Italia dovrebbe tenere il deficit al 2,9% del Pil. Condivide? 

«Ho lavorato molto con il primo ministro Renzi. Ho la più grande stima per lui e le mie simpatie politiche per la socialdemocrazia europea non sono un segreto. Ma osservo che Renzi ha preso decisioni che hanno portato a ridurre il deficit ben oltre il 3%. E ha avuto ragione».

Perché?

«Perché il problema centrale dell’Italia è il debito pubblico e se si tornasse al 3% o al 2,9%, allora il debito tornerebbe a salire. Sarebbe deleterio per la credibilità del Paese e porterebbe problemi pesanti in futuro. Il 3% non è un obiettivo, né un limite: è un tetto, ma le regole sono più complicate di così. Bisogna vedere altri parametri come deficit strutturale (al netto del ciclo economico e delle misure una tantum, ndr) e il debito, che per l’Italia è uno dei criteri da rispettare con particolare attenzione».

Il debito aumenterà nel 2017 per i salvataggi bancari. E dovrebbe stabilizzarsi nel 2018 con la correzione strutturale del deficit di 0,3% del Pil. Basta?

«Le decisioni sulle banche sono state necessarie e salutari. Ma nel medio termine la riduzione del debito italiano è un imperativo. Non voglio entrare nei dettagli delle discussioni con Pier Carlo Padoan sulla Legge di stabilità 2018, ma la Commissione continua ad avere un approccio costruttivo che permette di consolidare la ripresa in Italia e allo stesso tempo è esigente sul rispetto delle regole, che riguardano anche il debito».


Dunque aspetta una Legge di stabilità che permetta l’inizio di una riduzione?

«Un bilancio che stabilizza e poi riduce il debito fa gli interessi dell’Italia ma questa Commissione non esige sforzi che penalizzino la crescita. Bisogna continuare a lavorare sul bilancio per un risanamento intelligente, e sulle riforme strutturali per un’economia che sia più forte e competitiva».

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